A cura del gruppo di ricerca del Centro di Eccellenza Jean Monnet sulla Giustizia Climatica (Dipartimento ICEA, Università di Padova) https://www.climate-justice.earth/
e Laurea Magistrale Internazionale Erasmus Mundus in Climate Change and Diversity: Sustainable Territorial Development – CCD-STeDe (Dipartimento ICEA, Università di Padova) https://em-stede.eu/
Massimo De Marchi, Daniele Codato, Salvatore Pappalardo, Edoardo Crescini, Francesco Facchinelli, Giuseppe Della Fera, Alberto Diantini
Domenica 20 Agosto 2023 si è tenuto in Ecuador il primo referendum al mondo che ha convocato i cittadini ad esprimersi in favore o contro il mantenimento del petrolio nel sottosuolo in un’area protetta. La vittoria del sì con il 59% blocca le trivellazioni della concessione petrolifera n. 43, conosciuta come ITT (Ishipingo-Tambococha-Tiputini) che si sovrappone alla riserva della biosfera UNESCO Yasuni, importantissima area di conservazione biologica e culturale che comprende il parco nazionale Yasuni, la zona Intangibile riservata al diritto all’autodeterminazione dei popoli incontattati Tagaeri-Taromenane (conosciuta con l’acronimo ZITT) e i territori della nazione indigena Waorani.
Il referendum nazionale si è tenuto in concomitanza con le elezioni presidenziali e legislative. Nello stesso giorno i cittadini della provincia del Pichincha (il cui capoluogo è Quito) hanno votato 4 referendum per proibire l’attività mineraria a scala artigianale, piccola, media e grande nella riserva della biosfera del Chocò Andino del Pichincha. Tutti e quattro i referendum confermano, con il 68%, la volontà popolare di proibire l’attività mineraria.
Esperanza Martinez, coordinatrice di Acción Ecologica, ha evidenziato come i vincitori delle elezioni del 20 Agosto siano Yasunì e Choco, nessun candidato alla presidenza della repubblica ha raggiunto quelle percentuali: al ballottaggio del 15 ottobre si sfideranno Luiza Gonzalez di Revolución Ciudadana (33,63%) e Daniel Noboa di Acción Democrática Nacional (23,43%)
Sofia Torres di Yasunidos ha dichiarato “Siamo convinti e convinte che mentre i politici ci separano, la natura ci unisce. Durante tutto questo processo sappiamo che rispondiamo alla ragione collettiva della vita. Siamo la natura che si difende dalla violenza e dall’estrattivismo. In queste settimane abbiamo fatto notizia, ora tutte e tutti insieme stiamo facendo la storia”.
Come Centro di Eccellenza Jean Monnet sulla Giustizia Climatica dell’Università degli Studi di Padova, attivo presso il Dipartimento di Ingegneria Civile Edile e Ambientale (https://www.climate-justice.earth/it/), con questo comunicato stampa/report vogliamo condividere alcuni elementi utili a leggere il risultato nel contesto di un lungo percorso che ha visto la società civile, i movimenti indigeni e la ricerca scientifica collaborare per la giustizia climatica e la transizione dai combustibili fossili.
Carta 1, Inquadramento dell’area: concessione ITT e parco, nel contesto dell’Amazzonia Ecuadoriana (D. Codato, 2023)
Carta 2, Livelli di complessità del territorio: sovrapposizione tra attività petrolifera, aree protette, Zona Intangibile Tagaeri Taromenane, Territorio Waorani
Una sintesi del percorso
Questa vittoria storica è il risultato di una lunga lotta iniziata decenni fa. A marzo del 1996 si costituisce a Quito il network internazionale Oilwatch che vede la partecipazione di 15 organizzazioni dei seguenti Paesi: Ecuador, Nigeria, Sudafrica, Camerun, Gabon, Thailandia, Sri Lanka, Timor Est, Messico, Guatemala, Perù, Colombia, Brasile. Lo scopo della rete è il monitoraggio e l’attivazione di campagne di mobilitazione sui danni prodotti dallo sfruttamento petrolifero nei Paesi in via di sviluppo. Nel 2003 a Quito, Oilwatch lancia la campagna “dejar crudo bajo tierra” (lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo), proponendo delle moratorie all’estrazione di idrocarburi.
L’esperienza iconica del lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo comincia proprio nel parco dello Yasuni in Ecuador nel 2007. L’iniziativa nata dalla società civile e dai movimenti indigeni aveva trovato un iniziale supporto da parte del governo che si impegnava a non procedere con lo sfruttamento petrolifero se fosse stato raccolto un fondo per investimenti alternativi. Il 15 agosto 2013 il Presidente dell’Ecuador dichiarò il fallimento dell’iniziativa in quanto la comunità internazionale non aveva contribuito al fondo e richiedeva al parlamento l’autorizzazione all’estrazione all’interno del Parco. Il parlamento approva le operazioni petrolifere in quanto di “interesse nazionale”. Contemporaneamente e in contrapposizione a questa decisione, si costituisce il collettivo Yasunidos che raccoglie movimenti giovanili, femministi, indigeni, ambientalisti e che avvia la raccolta di firme per indire un referendum che mantenga il petrolio nel sottosuolo. Nel 2014 vengono raccolte 750.000 firme poi annullate dal Tribunale Elettorale su pressione del governo. Yasunidos attiva come risposta tutte le azioni legali possibili per ottenere il riconoscimento delle firme. Nel 2016 iniziano le operazioni petrolifere nella concessione ITT. Solo nel 2023 la Corte Costituzionale, riesaminando le richieste di Yasunidos, autorizza il referendum, in concomitanza con le elezioni presidenziali del 20 agosto 2023, che vede la schiacciante vittoria del sì alla protezione di quest’area.
Questa esperienza di resistenza e azione, oltre a raggiungere un risultato importante nelle politiche di giustizia climatica e territoriale, ha creato il neologismo Yasunizacion: ovvero l’azione dal basso per costruire una alternativa all’estrazione dei combustibili fossili basata sulle culture indigene, sui diritti umani e ambientali per una reale e giusta transizione eco-sociale multiscalare.
Perché questa vittoria va oltre l’Ecuador?
Questa vittoria ha un molteplice significato a più scale geografiche, sia a livello locale e nazionale che a livello mondiale nella lotta al cambiamento climatico e nella promozione di politiche e azioni di giustizia climatica che puntano a lasciare il petrolio nel sottosuolo.
L’Ecuador è una piccola nazione andino amazzonica sud americana, famosa nel turismo internazionale per le isole Galapagos, ma considerata anche un paese chiave per la sua grande diversità biologica ed ecologica e la presenza di moltissime popolazioni indigene, in particolare negli ecosistemi amazzonici che occupano più del 40% della sua superficie. Anche se lontana e apparentemente non visibile per gli impatti subiti, la foresta amazzonica ha un’importanza globale per tutto il nostro pianeta. Come riportato nel rapporto dell’IPCC “Land and Climate Change” (2019) il degrado ambientale, l’aumento o la riduzione di precipitazioni e la variazioni di temperature nella regione amazzonica, hanno effetti nel Nord degli Stati Uniti, in Canada, in Scandinavia, nel golfo Persico e nel corno d’Africa, in Bangladesh.
L’Ecuador però è anche un paese la cui economia è dipendente dall’esportazione di materie prime, tra le quali il petrolio è diventato il principale prodotto dagli anni 70 del secolo scorso. Proprio nell’Amazzonia ecuadoriana si concentrano le principali concessioni petrolifere, in particolare nella parte centro-nord, dove quasi 50 anni di attività ha lasciato importanti e ben documentate cicatrici sociali e ambientali e poche ricadute positive in termini economici a livello locale.
L’Ecuador si caratterizza come un laboratorio territoriale che mette in pratica percorsi concreti di transizione socio-ecologica giusta che sono da esempio per altri territori sacrificati dalla produzione di combustibili fossili in Ecuador e in Amazzonia e per altri paesi del sud globale che forniscono materie prime.
Popoli incontattati
Nel 1999 l’Ecuador, primo paese al mondo, istituiva una zona Intangibile riservata al diritto all’autodeterminazione dei popoli incontattati Tagaeri-Taromenane. Nel 2007 la Zona Intangibile Tagaeri-Taromenane (ZITT) veniva finalmente delimitata occupando un’area di 7500 km2 della regione amazzonica ai confini con il Perù, perpetuamente vietata ad ogni attività industriale. Contemporaneamente veniva istituita anche una buffer zone di 10 km per garantire una ulteriore area di rispetto. Nel 2019, a seguito di un referendum, il Governo dell’Ecuador ha ampliato la ZITT di altri 600 km2, si tratta di una specie di compensazione per le aree interessate dalle attività petrolifere all’interno del Parco dello Yasuni. Tuttavia, trattandosi di popolazioni nomadi che per secoli si sono mosse su un’area di circa 20.000 km2 tra i fiumi Napo e Curaray (in direzione Nord sud) e tra i primi rilievi andini e la confluenza del fiume Nashino con il Curaray (in direzione ovest est), la Zona Intangibile non risulta adeguata alla territorialità Tagaeri-Taromenane. Accanto alla mobilità dei popoli in isolamento si assiste alla mobilità della frontiera petrolifera che continua ad espandersi circondando la ZITT. Con l’estrazione del petrolio nello Yasuni la frontiera estrattiva si era avvicinata ancora di più alla Zona Intangibile Tagaeri-Taromenane, esacerbando politiche pubbliche conflittuali tra il garantire i diritti umani delle ultime popolazioni indigene non contattate e l’espansione della frontiera petrolifera. Bloccare le operazioni petrolifere nello Yasuni significa garantire i diritti umani e ambientali, e soprattutto il diritto alla sopravvivenza a popolazioni che hanno scelto di allontanarsi dalla società maggioritaria per non scomparire.
Carta 3: La “gabbia petrolifera” alla quale sono costretti i popoli non contattati. La ZITT è completamente circondata da concessioni petrolifere. La linea viola rappresenta una proposta di riperimetrazione della Zona Intangibile proposta dal gruppo di ricerca Cambiamenti Climatici, Territori, Diversità.
Nel 2018 in Ministero dell’ambiente aveva un processo di consultazione con la società civile per ampliare la Zona Intangibile Tagaeri-Taromenane (ZITT), in quell’occasione come gruppo di ricerca abbiamo presentato una proposta di ampliamento molto ambiziosa per limitare le attività estrattive e garantire territori adeguati alla mobilità dei popoli non contattati.
Perché è indispensabile lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo
L’Accordo di Parigi (AP) del 2015 definisce obiettivi internazionali condivisi per ridurre le emissioni di gas con effetto serra in modo da mantenere entro i 2 °C l’aumento della temperatura globale, nel tentativo di evitare o ridurre gli impatti dei cambiamenti climatici (Bulkeley e Newell 2010, COP21 2015, Bhore 2016, Allen et al 2018, Rodi 2019, Tong ed Ebi 2019, Newell e Simms 2020).
Il rapporto del IPCC del 2018 ha rivalutato lo scenario di base delle politiche climatiche internazionali ridefinendo l’aumento della temperatura globale a 1,5 °C entro il 2035. Per perseguire questo obiettivo, l’IPCC stima che vi sia una probabilità del 33%, 50% e 67% di mantenere il riscaldamento globale al di sotto del limite di 1,5 °C se il totale delle emissioni dei prossimi anni vengono ridotte ridotte a 840, 580 e 420 Gt di CO2 (Rogelj et al 2018).
Le politiche e le strategie internazionali di decarbonizzazione hanno enfatizzato le azioni sulla domanda di energia (demand side), come l’uso delle energie rinnovabili, l’efficienza energetica, stili di vita a basse emissioni di carbonio e la ricerca nel campo delle tecnologie per la cattura e lo stoccaggio del carbonio (Lipschutz 2012, Fragkos et al 2017). Tuttavia, per affrontare efficacemente la mitigazione dei cambiamenti climatici e rispondere agli obiettivi delle politiche climatiche è necessario attuare approcci dal lato dell’offerta di combustibili fossili (supply side). Questi approcci basati sulla riduzione dell’offerta devono includere politiche e azioni per mantenere i combustibili fossili nel sottosuolo, un concetto che la letteratura definisce “unburnable carbon’, ‘unburnable fossil fuels’, ‘unextractable fossil fuels’, ‘fossil fuel phasing out’, ‘managed decline’, ‘curbing fossil fuel extraction’, and ‘stranded assets’ (McGlade e Ekins 2015, Codato et al 2019, Pye et al 2020, Welsby et al 2021, IPCC 2022).
Nel 2015 è apparso su Nature l’articolo di Mac Glade and Ekins che per la prima volta hanno calcolato quali sarebbero le emissioni di diossido di carbonio se si utilizzassero tutti i combustibili fossili considerando tutte le riserve conosciute e accertate. Si tratta di circa 11.000 Gt di CO2, a fronte di una capacità di assorbimento dell’atmosfera che oscillava tra le 860 e le 1.240 Gt. Nei calcoli degli autori il 35% del petrolio, il 52% del gas e l’88% del carbone devono rimanere nel sottosuolo per evitare la catastrofe climatica. Tuttavia, i calcoli di McGlade e Ekins si riferivano allo scenario di aumento della temperatura globale pari a due gradi.
Per avere una probabilità del 67% di rimanere all’interno di un aumento della temperatura globale di 1,5°C potremmo emettere al massimo ancora 420 Gt di CO2. Questo ridefinisce l’entità dei combustibili fossili non estraibili, con un incremento delle percentuali che raggiungono il 58% per il petrolio, il 59% per il gas e l’89% per il carbone (Welsby et al. 2021).
Tuttavia uno studio recente evidenzia come “Existing fossil fuel extraction would warm the world beyond 1.5 ◦C” (Trout et Al. 2022). Lo studio ci dice che le attività estrattive già operative non ci permettono di garantire l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura entro 1,5°C: in questo contesto il risultato del referendum dell’Ecuador è di estrema importanza per indicare una possibile strada da percorrere per evitare il riscaldamento catastrofico del pianeta.
Cuencas Sagradas
Cuencas sagradas è un’iniziativa di alcune nazionalità indigene di Perù ed Ecuador, avviata nel 2019, per costruire un piano bio-regionale alternativo alle azioni dei rispettivi governi che continuano su una pianificazione territoriale legata all’estrazione dei combustibili fossili.
Si tratta di un piano ambizioso di lungo periodo che vede un’ampia coalizione internazionale di organizzazioni e nazioni indigene, organizzazioni ambientaliste nazionali ed internazionali, con un supporto prioritario da parte di Fundación Pachamama.
L’iniziativa si basa su una visione “a partire dal futuro”, perché l’Amazzonia del 2041 sia diversa da quella attuale attraverso nuovi percorsi di transizione ecologica e sociale.
La visione indigena che orienta la transizione in questa bioregione si basa su 4 elementi:
- autodeterminazione e governance territoriale indigena
- l’eliminazione di tutti i processi di degradazione e perdita della foresta
- il consolidamento del buen vivir amazzonico
- la conservazione della foresta
La cultura promossa è quella del buen vivir amazzonico (sumak kausay), il paesaggio della giustizia e della sostenibilità si basa sull’alleanza tra società e natura nella cura della Pachamama e sul bioregionalismo, non si fanno progetti, ma piani di vita che toccano la salute interculturale, l’educazione e la coscienza ecologica, la governance territoriale indigena e l’autodeterminazione, la pianificazione intelligente, il diritto alla città e all’abitare, trasporti, tecnologia e connettività, energie rinnovabili.
I percorsi di transizione ecologica e sociale operano a più scale: locale e globale, lavorando per mantenere nel sottosuolo le risorse energetiche e minerarie nelle aree sensibili, ma allo stesso tempo avviando la costituzione di fondi internazionali e intergenerazionali per compensare la non estrazione di combustibili fossili ed il ripristino degli ecosistemi e delle risorse idriche. Il piano bioregionale intende introdurre anche una nuova metrica basata su parametri scientifici biofisici ed ecosociali e un sistema di monitoraggio del miglioramento o peggioramento del buen vivir amazzonico delle politiche pubbliche.
Il piano bioregionale è il risultato della combinazione di visioni indigene, mobilitazioni della società civile e ricerca scientifica. E’ stata costituita una commissione globale di ricercatori e attivisti in continuo dialogo con le nazioni indigene sull’analisi del contesto e la definizione delle azioni del Piano Bioregionale. Per l’Italia Massimo De Marchi dell’Università di Padova è membro della commissione.
Fossil Fuel Non Proliferation Treaty
Gli accordi climatici internazionali finora non hanno affrontato in maniera sistematica la questione del lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo. L’accordo di Parigi del 2015 non ne parla, l’argomento è stato inserito per la prima volta nei documenti internazionali nel Glasgow Climate Pact del dicembre 2021, però limitano il phasing out al carbone.
Visti i limiti “dall’alto”, la società civile internazionale si è attivata nel 2021 durante la New York Climate week lanciando una campagna per proporre un trattato (che si ispira al trattato di non proliferazione delle armi nucleari) basato su tre impegni: la non proliferazione, ovvero la nor realizzazione di nuovi progetti di estrazione; il disarmo, ovvero la chiusura delle operazioni di estrazione ancora attive; la transizione giusta, ovvero aiutare i paesi e le comunità che maggiormente saranno svantaggiate dall’abbandono dei combustibili fossili.
Alla COP 27 di Sharm el-Sheikh (27° Conferenza delle parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) il trattato è stato presentato da Vanuatu.
Precedentemente sei paesi del Pacifico che rischiano di essere sommersi dall’innalzamento del livello del mare avevano adottato (17/03/2022) l’appello di Port Vila “per una transizione giusta e un Pacifico libero dai combustibili fossili”, firmato da Vanuatu, Tuvalu, Fiji, Solomon Islands, Tonga, Niue.
Il 20 Ottobre 2022 il Parlamento Europeo con la risoluzione sulla COP 27 di Sharm el-Sheiks, invita gli stati a lavorare per sviluppare un trattato di non proliferazione dei combustibili fossili (2022/2673(RSP)).
La campagna ad oggi hanno firmato il trattato a livello globale: più di 100 città, più di 2500 organizzazioni della società civile, chiese, e milioni di persone, tra le quali premi Nobel e più di 3000 ricercatori. Tra le città Italiana hanno firmato il trattato Roma, Torino, Pontassieve
Si tratta del lungo iter per approvare un nuovo accordo internazionale rivoluzionario che vede nel referendum dello Yasuni un importante passo nella direzione della non proliferazione dei combustibili fossili.
Lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo: importante definire dove
Nonostante le scienze “dure” del cambiamento climatico siano giunte ad una quantificazione del carbonio non utilizzabile, la ricerca scientifica non ha ancora definito i criteri per la scelta delle riserve di idrocarburi da non utilizzare in relazione alla messa in atto di politiche efficaci per evitare le emissioni. Al momento, la ricerca è in grado di suggerire obiettivi generali di livello regionale o nazionale, senza alcuna localizzazione spazialmente esplicita per le riserve di combustibili fossili da non utilizzare. È prassi comune esaminare criteri economici legati ai costi di estrazione, mentre i criteri ambientali o di sostenibilità territoriale non sono ancora sufficientemente presi in considerazione.
La dimensione territoriale delle attività estrattive di idrocarburi è particolarmente rilevante nel quadro della grande sfida della sostenibilità per le generazioni attuali e future rappresentata dal cambiamento climatico (Hansen et al., 2013). Data la necessità di lasciare inutilizzate quasi il 60% delle riserve di gas e petrolio e il 90% del carbone è indispensabile sviluppare una metodologia geografica, trasparente, scientifica, socialmente inclusiva e strutturata che sappia dire dove, quando, come e con chi attuare concretamente le operazioni necessarie a lasciare gli idrocarburi nel sottosuolo.
L’iniziativa Yasuni-ITT dal 2007 ha affrontato coraggiosamente la sfida del “dove” lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo, definendo anche un possibile percorso dal basso, partecipato di cittadinanza; così anche l’iniziativa Cuencas Sagradas a partire dal 2019.
Tra le poche ricerche scientifiche sul dove lasciare i combustibili fossili va segnalato il lavoro “Oil production, biodiversity conservation and indigenous territories: towards geographical criteria for unburnable carbon areas in the Amazon rainforest” (Codato et Al.) https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0143622818303333
Il 10% della superficie dell’Amazzonia è occupata da concessioni petrolifere, ci sono 5065 pozzi di di petrolio, le linee tracciate per le prospezioni geofisiche utilizzate nella ricerca degli idrocarburi sono di circa 462.000 km, 10 volte il giro della terra, più grande della distanza terra luna. Le concessioni petrolifere coprono il 59% dell’Amazzonia in Ecuador, il 36% in Colombia, il 34% in Bolivia. In Perù il 24% dei territori indigeni in Amazzonia è interessato da concessioni petrolifere.
Carta 4: Amazzonia Andina (Colombia, Ecuador, Perù. Bolivia) sovrapposizione tra operazioni petrolifere, aree protette (AP) e territori indigeni (IT)
Carta 5: Mappa di sintesi delle sovrapposizioni tra operazioni petrolifere, aree protette (AP) e territori indigeni (IT): punto di partenza per lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo in tutta la regione amazzonica
Ad inizio 2023 è stato pubblicato l’articolo “Where to leave fossil fuels underground? A multi-criteria analysis to identify unburnable carbon areas in the Ecuadorian Amazon region”, nella rivista internazionale ad accesso libero Environmental Research Letter (https://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/aca77d). Lo studio esplora la fattibilità dell’adozione di piani di transizione energetica attraverso l’analisi decisionale spaziale multicriterio (sMCDA) e l’uso di criteri geografici per definire aree dove lasciare il petrolio sottoterra, conosciute anche come aree di “unburnable carbon”, sulla base di diversi approcci alla gestione del territorio. Lo scopo della ricerca è quello di definire diversi scenari per efficaci politiche di mitigazione del clima in Ecuador, in particolare nella regione amazzonica, modellando le interazioni tra lo sviluppo del petrolio e le aree con elevata sensibilità bio-culturale utilizzando informazioni geo-spaziali ambientali, socio-culturali e di progetti e riserve petrolifere.
In questa ricerca emerge proprio il fatto che la concessione ITT, nonostante le grandi riserve presenti nel sottosuolo, è tra quelle da considerare come non sfruttabili sulla base dei criteri che fanno emergere la grande ricchezza ecologica e culturale della zona e per non superare il target internazionale di 1.5°C di aumento delle temperature medie globali, andando oltre alle classiche valutazioni economiche: https://news.mongabay.com/2023/02/mapping-of-no-drill-areas-in-ecuadors-amazon-can-be-scaled-for-entire-rainforest-study/
Tre decenni di intrecci tra Padova e Yasuni
Come Centro di Eccellenza sulla Giustizia Climatica ci uniamo all’emozionante esultanza nazionale ed internazionale per questa storica vittoria, per un luogo che sentiamo come casa, frequentando da anni questa importante area amazzonica e costruendo ricerca applicata e collaborativa sulle problematiche socio-ambientali derivanti dall’estrazione petrolifera.
Il nostro impegno come ricercatori e attivisti geografi è testimoniato dai differenti contributi prodotti, attività di campo e collaborazioni con realtà accademiche e della società civile ecuadoriana avvenute nel corso di questi ultimi tre decenni, integrando ricerca, didattica, comunicazione scientifica e attivismo in una prospettiva di Extreme Citizen Science.
In questi anni a fianco delle comunità locali, abbiamo sviluppato diverse tesi di laurea (triennale e magistrale) (Taylor 2005; Pappalardo, 2009; Della Fera 2014; Facchinelli 2020) quattro tesi di dottorato De Marchi 1999; Pappalardo 2013; Codato, 2014; Diantini 2019), oltre ad una serie di pubblicazioni in lingua inglese, spagnola, italiana.
Da anni continua il supporto scientifico alla campagna “Apaguen los mecheros de la Amazonia Ecuatoriana” per promuovere la chiusura dei sistemi di combustione dei gas derivanti dall’estrazione petrolifera e che causano importanti impatti sul clima e sulla salute delle popolazioni locali (https://www.climate-justice.earth/it/published-scientific-paper-on-extreme-citizens-science-for-climate-justice-linking-pixel-to-people-for-mapping-gas-flaring-in-amazon-rainforest/)
La rete di collaborazioni, conoscenza e percorsi condivisi creata nel corso degli anni con diverse realtà accademiche e della società civile ecuadoriana genera interscambio nei due sensi tra Padova e Amazzonia. Negli anni abbiamo organizzato a Padova conferenze con attivisti, ricercatori, leader indigeni dell’Ecuador. In parallelo abbiamo consolidato attività istituzionali con i colleghi dell’Universidad Andina Simon Bolivar di Quito tra i più coinvolti nella ricerca attivista per lasciare i combustibili fossili nel sottosuolo e nell’iniziativa Yasuni. con la quale abbiamo.
In particolare il prof. Carlos Larrea uno dei più attivi docenti universitari nella iniziativa Yasuni ITT, e molto presente nei media negli ultimi mesi della campagna per il referendum, è docente nell’insegnamento “Cambiamenti Climatici e adattamenti negli Ecosistemi e nelle società” coordinato dal prof. Salvatore Pappalardo, attivo presso il corso di laurea in Ingegneria per l’Ambiente ed il Territorio dell’Università di Padova. Con Carlo Larrea è stato preparato l’articolo “Where to leave fossil fuels underground? A multi-criteria analysis to identify unburnable carbon areas in the Ecuadorian Amazon region”.
La collaborazione con Universidad Andina Simon Bolivar di Quito (UASB) e la ricerca attivista dell’Area Ambiente y Sustentabilidad ha permesso di consolidare le seguenti iniziative:
- La laurea magistrale internazionale doppio titolo in doppia lingua (Inglese-spagnolo) “Climate Change and diversity: Sustainable Territorial Development” (dal 2021)
- Il master internazionale di primo livello con doppio titolo, in spagnolo “Cambio Climático y Agroecosistemas Sustentables” (dal 2022)
- Il master internazionale di primo livello con doppio titolo, in spagnolo “Políticas de Cambio Climático, Biodiversidad y Servicios ecosistémicos” (2019-2022)
In tutte queste iniziative si respira l’aria della Yasunizzazione.
Da settembre 2023 sarà a Padova Pedro Bermeo, responsabile di Yasunidos, ammesso con borsa di studio europea alla laurea magistrale Erasmus Mundus in “Climate Change and diversity: Sustainable Territorial Development”. A settembre sarà a Padova anche Ana Lucia Bravo docente della UASB, responsabile locale della laurea magistrale internazionale docente di Agroecologia.
Saranno un’ulteriore occasioni per consolidare le relazioni tra Padova e Amazzonia.
Sfide: il futuro comincia ora
Come Centro vogliamo anche evidenziare però le difficoltà e le contraddizioni che questo percorso verso uno Yasuni libero dal petrolio si trova ad affrontare: quella che all’apparenza sembra una vittoria a 360°, nasconde una realtà multi-scalare ben più complessa, dove un generale no alle attività petrolifere è contrastato dalla vittoria della corrente favorevole all’estrazione proprio nelle due provincie (Orellana e Sucumbios) interessate dalla concessione petrolifera ITT. Questo risultato non ci stupisce e molteplici possono essere le spiegazioni di quanto accaduto e che meritano un appropriato approfondimento, tra le quali emerge il fatto che ci troviamo in una “terra di nessuno” dove spesso le multinazionali si sostituiscono allo stato, provvedendo a servizi e posti di lavoro e creando una sorta di insostenibile dipendenza.
Il 21 agosto in occasione della conferenza stampa tenutasi alla casa della Cultura di Quito, Leonidas Iza presidente della CONAIE (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador) ha ricordato che la transizione giusta richiede:
- ai paesi industrializzati di cancellare i debiti dei paesi del Sud;
- allo Stato ecuadoriano di rispettare gli accordi internazionali in materia ambientale;
- alla base a prendersi cura dei propri territori contro l’estrattivismo;
- ai candidati presidenziali Luisa González e Daniel Noboa di rendere note le loro posizioni riguardo alle attività estrattiviste.
Sofía Torres, portavoce di Yasunidos, ha invitato tutti gli ecuadoriani ad aderire ad un progetto di supervisione di cittadinanza su quanto accade nello Yasuni fissando alcune richieste nei confronti dello Stato in risposta alla vittoria del “sì” nella consultazione popolare:
- rispetto del divieto di firmare nuovi contratti estrattivi che consentano la continuazione dello sfruttamento nel blocco 43
- lo Stato ecuadoriano dovrà ritirarsi gradualmente e in modo organizzato dal blocco 43 nel corso di un anno.
- deve essere preparato un piano dettagliato per lo smantellamento delle infrastrutture petrolifere, compresa la riparazione completa degli ecosistemi e delle comunità colpite, in coordinamento con i promotori della consultazione e il movimento indigeno.
- è necessario attuare una politica globale di protezione dello Yasuní a lungo termine, affrontando tutte le minacce estrattive.
Ora più che mai le associazioni della società civile e accademiche che hanno promosso e permesso questo storico risultato continuano ad impegnarsi e lavorare insieme e con gli attori locali e la comunità internazionale per supportare un vero cambio di paradigma e offrire alternative concrete e sostenibili all’attuale modello di sviluppo estrattivo.